
Bruno Bellocchi
Indice degli scritti
Il Formaggio
I Viaggi del Cuore
I Santini mai esistiti
I Panorami dell’Anima
Le donne
Una bella estate
Ancora viaggi
La Magia e Me
Una Bella Famiglia
La Primavera
L'Estate
L'Autunno
L'Inverno
La Musica e Me
La Pittura e Me
Vita in Villa
Uomini
Donne
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LA PITTURA E ME
Ho l'impressione di essere nato con la matita in mano e di avere da subito pasticciato con i colori. In realtà cercavo di imitare la mia sorellina di quattro anni più grande abilissima nel disegno, la mia amata Gianna. Ancora non leggevo e passavo ore a 'guardare le figure' da Disney a Jacovitti se non addirittura le magnifiche incisioni dei libri sugli animali di Brehm dalla libreria di mio nonno. Con la capacità precoce di leggere arrivarono i libri illustrati dai grandi disegnatori di favole o di riduzioni per bambini delle grandi opere di letteratura.Così mi affezionai ai colori degl illustratori come Gustavino o Wamba, o molti altri che disegnavano per la 'Scala d'oro', geniale collezione di libri che accompagnavano la crescita infantile dai cinque ai dodici anni. Il salto di qualità avvenne durante il Liceo Classico dove lo studio della storia dell'Arte mi aprì il mondo della pittura. All'università, prima ad Architettura e poi a lettere e filosofia, dove divenni assistente di storia dell'Arte, mi dedicai alla libera ricerca della pittura. Il mio primo amore Giotto, nel quale vedevo la solidità dei miei contadini amati e, un po' ingenuamente, visti come l'essenza dell'essere uomini. Ma subito passai a quella pittura allora minoritaria o almeno nota a pochi. Parlo del Manierismo toscano, quello di Pontormo, del Rosso, dei pittori dello Studiolo di Francesco de Medici. Ancora Bronzino Cosme' Tura ed il Tintoretto. Poi il settecento inglese visionario, per finire nell'aura del Simbolismo, delle correnti del decadentismo francese di Moreau, Inglese dei preraffaelliti e di Beardsley, austriaco di Egon Shiele che mi portò ad approdare all' Espressionismo tedesco, più quello di Monaco che il troppo drammatico di Dresda. Queste correnti ben si legavano con gli studi umanistici sulla centralità dell'Uomo come volevano i filosofi della Natura e la Qabalah da loro studiata nella Firenze del '400. Finanche nei sogni mi vorticavano nella mente i colori i volti gli oggetti i corpi la natura in un turbinio di godimento. Mi ero avvicinato idealmente al comunismo umanitario e difensore dei deboli per cui la mia pittura, secondo i miei compagni di ventura ideale, avrebbe necessariamente dovuto essere di 'denuncia '. Avrei potuto scegliere tra un realismo socialista all'italiana o, più gradito alla Intellighenzia nostrana, un astrattismo cupo e di denuncia sociale. Pur apprezzando Guttuso o Vedova io non mi sentivo portato né al primo né tantomeno all'altro. Allora nascondevo i miei dipinti ai miei amici più severi. Dopo il liceo classico, come ho già detto, mi iscrissi a Napoli alla facoltà di architettura dove, a parte le ostilissime, per me, materie scientifiche che mi costrinsero poi a cambiare facoltà, imparai, attraverso le lezioni di disegno dal vero, a disegnare en plein air con mia grande soddisfazione, che non mi ha più abbandonato. Nella seguente facoltà di lettere e filosofia mi specializzai nei corsi di Storia dell'arte, che tanto mi dette nello studio della pittura e scultura a Napoli. Dopo il mio periodo praghese dal quale uscii libero da arcigne valutazioni politiche e spaziante nel cielo della bellezza del Creato in tutte le sue forme, ripresi alacremente la mia visione pittorica. Sorgeva però il problema del fare diventare pubblica la mia arte. Ci pensai a lungo facendo anche tre o quattro tentativi di mostre ma mi sembrava di sporcarmi l'anima alla ricerca di un successo mai desiderato nel profondo. Mi dedicai ai ritratti commissionati da persone intelligenti, ma da allora decisi che il mio lavoro sarebbe rimasto un battito del mio cuore che, intanto, aveva scoperto la bellezza della Magia, che ben si accordava alla mia visione del mondo, appartata e solitaria, e "diversa", la quale poteva benissimo confluire nella mia pittura, che così potevo frequentare costantemente e liberamente, lontano dalle valutazioni fortemente ideologizzate dei critici. In quegli anni di ritorno in Italia fui molto impressionato da un documentario cinematografico sulla maniera di operare del grande Picasso che si poneva davanti alla carta bianca facendosi trasportare, almeno in apparenza, più dal gesto veloce che da una idea preconcetta sull'esito del dipinto.
Non mi sono mai pentito di questa scelta forse un po' elitaria ma che mi permetteva di dedicarmi alla Strada Sapienzale con la necessaria libertà. Ho coscienza però del valore di una pittura che non ha mai ceduto a mode ed ideologie.